Salvini ministro delle Infrastrutture: promessa colossale, esito minimale
- Max RAMPONI

- 6 giorni fa
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Il bilancio di Matteo Salvini al Ministero delle Infrastrutture è un esercizio di funambolismo politico: un equilibrio costante tra promesse titaniche e risultati che, a guardarli bene, hanno la consistenza dell’ombra. In un Paese che da decenni colleziona ritardi, opere incompiute e chilometri di problemi reali, il ministro ha scelto la via più spettacolare: puntare tutto sul Ponte sullo Stretto di Messina, trasformandolo nel simbolo assoluto della sua gestione. Ambizione massima, risultati minimi. È questo il cuore del bilancio Salvini al ministero delle infrastrutture, un mix di annunci iperbolici e ostacoli molto più solidi delle pile del ponte che ancora non c’è.
La propaganda racconta il ritorno di un’Italia che costruisce, un’Italia che osa, un’Italia che finalmente sfida la modernità con grandi opere. La realtà, invece, mostra carte ferme, visti negati, criticità tecniche ignorate e una Corte dei Conti che ha ordinato lo stop a ciò che viene ancora definito “progetto definitivo” ma assomiglia più a un dépliant pubblicitario. Il Ponte sullo Stretto, rilanciato come opera faro del bilancio Salvini ministero infrastrutture, non ha superato nemmeno l’esame preliminare: niente visto di legittimità, documentazione incompleta, dubbi su costi, norme e sostenibilità. Un conto è annunciare il ponte più grande del mondo; un altro è far approvare il progetto da chi deve garantire che sia legale, praticabile e finanziabile. Per ora, siamo alla fase uno: l’annuncio. E lì siamo rimasti. Il problema è che quando concentri tutta la tua narrativa politica su un’opera unica, e quell’opera non parte, l’intero bilancio ministeriale diventa inevitabilmente fragile.
La gestione Salvini, al netto dei toni trionfali, mostra infatti una debolezza strutturale: pochissimi interventi concreti sulle infrastrutture quotidiane e sui trasporti reali del Paese. Le strade continuano a cedere, le ferrovie accumulano ritardi, la manutenzione ordinaria resta la grande assente, mentre il dibattito pubblico si concentra su un ponte che non esiste. È come se l’intero ministero fosse stato trasformato in un set cinematografico: grande scenografia, poco contenuto. A questo si aggiunge una discrepanza leggera ma significativa tra dichiarazioni e dati ufficiali. Il caso autovelox è emblematico: Salvini denuncia un’Italia piena di trappole per automobilisti, poi il censimento del suo stesso ministero dimostra numeri molto più bassi del previsto. Piccole frizioni che però pesano sulla credibilità complessiva della gestione. Il risultato? Un bilancio Salvini al Ministero delle Infrastrutture dove la comunicazione batte la realizzazione dieci a zero.
C’è la visione, certo, e nessuno può negare che mettere sul tavolo il ponte abbia riportato l’attenzione sul Mezzogiorno, sulla mobilità, sulle grandi opere. Ma tra accendere un faro e costruire una strada c’è in mezzo un abisso chiamato “governare”, e lì il percorso resta accidentato. Un ministero non vive di render, slogan o interviste: vive di cantieri aperti, opere completate, procedure approvate, interventi misurabili. E a oggi, nel bilancio Salvini ministero infrastrutture, questi elementi sono pochi. Il resto è rumore politico, narrazione, immaginario. In sintesi brutale: Salvini ha vinto la battaglia mediatica, ma non quella amministrativa. Ha acceso il dibattito, ma non i cantieri. Ha rilanciato un sogno, ma deve ancora far superare al progetto l’esame più semplice: la legittimità tecnica. Il bilancio finale, oggi, è una fotografia nitida: visione alta, concretezza bassa. E in un Paese che si gioca tutto sulle infrastrutture reali — non sulle promesse — la differenza è sostanziale. Potrà cambiare? Sì, se il ponte un giorno supererà esami, visti, conti e tribunali. Ma finché resta nel limbo, il bilancio Salvini resta ciò che è ora: un grande titolo, ma poche pagine sotto.







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