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Vita da BLOGGER

Essere un blogger non è una professione, e nemmeno un hobby. È più simile a una dipendenza elegante, una piccola nevrosi con pretese filosofiche. La scena è sempre la stessa: la casa dorme, il tavolo è illuminato da una luce fioca, e il resto del mondo sembra lontano, sospeso in un’altra dimensione. In quel momento si apre una crepa nel tempo, e dentro quella crepa ci sei tu, il computer, e tutto ciò che non hai il coraggio di dire a voce alta.

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La “vita da blogger” non ha glamour. Non c’è la promessa di libertà delle brochure motivazionali, né il successo istantaneo dei tutorial. È una maratona silenziosa fatta di articoli che ti ronzano in testa come mosche, idee che arrivano quando non dovrebbero, e una strana sensazione di solitudine creativa che perseguita e consola allo stesso tempo. Si scrive quando si può, ma soprattutto quando non si dovrebbe.

 

Ogni post è una piccola autopsia del presente. Apri le notizie, guardi la realtà che respira male, e cerchi di darle un nome, una forma, una frase che taglia quanto basta. Il blog diventa un rifugio, ma anche una trincea: un luogo dove le opinioni non vengono vendute sottobanco e dove il politicamente corretto non fa la ronda. Qui non si cercano applausi; si cercano verità che fanno rumore, anche quando non piacciono.

 

Scrivere online è come parlare a un pubblico invisibile che non sai mai se sta leggendo o dormendo. Ma continui lo stesso, perché in qualche modo le parole diventano una forma di resistenza: contro il rumore, contro la stupidità, contro la rassegnazione che lentamente diventa costume nazionale. Ogni articolo è un atto di ostinazione. Ogni tag, un tentativo di mettere ordine nel caos.

 

Il blogger vive di dettagli: una frase ascoltata al bar, un titolo storto su un giornale, un ricordo che riaffiora mentre cammini. Li prendi, li trasformi, li distilli come vodka clandestina in una cucina di periferia. A volte viene fuori qualcosa di forte. Altre volte solo acqua sporca. Fa parte del gioco.

 

La verità è che la vita da blogger non porta saggezza né certezze. Porta una crescente familiarità con la notte, un’ossessione per le parole giuste e una capacità fuori dal comune di parlare con se stessi senza risultare troppo squilibrati. È un mestiere strano, nato per caso, eppure impossibile da lasciare.

 

Alla fine resta una sola certezza: finché qualcuno là fuori cercherà di capire questo Paese attraverso i brandelli che lasci sparsi sulle pagine, tu continuerai a scrivere. Con il ritmo lento delle vecchie sigarette sovietiche, il sarcasmo di chi non crede più alle favole e la malinconia di chi, nonostante tutto, spera ancora che una frase ben piazzata possa cambiare almeno un millimetro del mondo.

 

È questa, in fondo, la vita da blogger:
 

un equilibrio precario tra disillusione e ostinazione.
 

Una stanza che fuma, un Paese che brucia, e tu in mezzo, a mettere ordine tra le scintille.

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