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Ci capite qualcosa quando parla Elly Schlein?

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 11 nov
  • Tempo di lettura: 4 min

ELLY SCHLEIN

Con Elly Schlein inauguro la sezione politica de Il Bestiario, quella che si aggiorna solo quando la natura offre un esemplare degno di studio. E lei lo è, eccome. Un ibrido raro: metà congresso progressista, metà seminario di filosofia morale. Schlein non parla — articola manifesti viventi. Le sue frasi sembrano redatte da un algoritmo educato a metà tra Greta Thunberg e Hannah Arendt, con un pizzico di app per il benessere mentale.


È la prima segretaria donna del Partito Democratico, ma anche la prima che riesce a pronunciare “transizione ecologica equa e intersezionale” con la disinvoltura di chi ordina un cappuccino di soia. Ha l’aria da intellettuale fuori tempo massimo, il carisma di un file PDF e l’eloquenza di chi è convinta che parlare difficile equivalga a dire qualcosa di profondo.Quando appare in TV, il pubblico si divide: metà applaude per riflesso condizionato, l’altra metà chiede aiuto a ChatGPT per tradurre.


Schlein è brillante, colta, cosmopolita. È nata a Lugano, ha sangue americano, una laurea in giurisprudenza e una dizione che sembra progettata per placare gli animi turbati dei talk show. È contro le disuguaglianze, la precarietà, le ingiustizie, le discriminazioni, la plastica, le guerre, e probabilmente anche contro i lunedì. Ogni suo intervento è un inno alla bontà universale, ma declinato in linguaggio normativo europeo.


Dice “uguaglianza”, “lavoro dignitoso”, “inclusione” con la stessa naturalezza con cui altri direbbero “passami il sale”. E per un istante pensi che ci sia speranza. Poi finisce la frase, e ti accorgi che non hai capito se parlava di un disegno di legge o di una pubblicità progresso. È un po’ come guardare un trailer entusiasmante di un film che non uscirà mai.

Il suo problema non è la mancanza di idee, ma l’eccesso di sintassi. È come se ogni concetto dovesse attraversare cinque livelli di astrazione prima di diventare comprensibile. “Serve un modello sostenibile di sviluppo territoriale inclusivo e resiliente” — traduzione: “bisogna piantarla di fare schifo”. Ma lei non può dirlo così. È troppo elegante, troppo istituzionale, troppo digitalmente empatica per sporcarsi la lingua con la realtà.

Eppure la sua esistenza è un segnale. Schlein è la versione 3.0 della sinistra italiana: connessa, attenta, intersezionale, perfettamente calibrata per una generazione che ha più pronome che certezze. È l’icona di chi non si riconosce nei boomer della politica ma neanche nel populismo da bar. Solo che, come ogni software di nuova generazione, a volte crasha: la realtà italiana non è pronta per un’interfaccia così progressiva.


In televisione la sua calma zen irrita i conduttori, nei comizi entusiasma i convertiti e confonde gli indecisi. È la leader perfetta per un partito che non sa più se essere socialista, liberal, radical chic o cooperativa di idee. Vuole cambiare tutto, ma deve farlo restando in un edificio che crolla a ogni scossone. Parla di futuro, ma deve farlo circondata da ex democristiani, amministratori regionali e fantasmi di Renzi.


C’è chi la accusa di essere vaga, e forse lo è. Ma la verità è che non può essere altro: ogni frase deve sopravvivere a cento sensibilità, mille correnti, diecimila sfumature di politically correct. Il risultato è un linguaggio sospeso, etereo, che sfugge al significato per non urtare nessuno. Una neolingua progressista che dice tutto e niente, sempre con buone intenzioni.


Eppure, qualcosa funziona. In un panorama politico popolato da urlatori, predicatori e improvvisati, Schlein ha il coraggio di non alzare la voce. È l’anti-Meloni per definizione: se Giorgia vibra come una chitarra elettrica, Elly suona come un pianoforte in una biblioteca. Il problema è che, in Italia, la gente va al concerto rock, non alla lezione di musicologia.


Forse è questo il suo destino: essere un simbolo più che una leader, una promessa più che un progetto. Parla di giustizia, di diritti, di cambiamento, ma tutto sembra ancora in formato beta. È la sinistra che vuole essere moderna senza diventare mainstream, ribelle senza sembrare caotica, colta senza sembrare snob.Un paradosso vivente, affascinante e un po’ alieno.


Per questo la Schleinia Verbosa merita di entrare di diritto nel Bestiario: creatura elegante, notturna, animata da nobilissimi intenti e da un lessico che nemmeno Google Traduttore osa correggere. Si nutre di consenso morale, vive in ecosistemi urbani a prevalenza elettiva e migra solo in periodo pre-elettorale. Non aggredisce, ma confonde. E questo, in politica, è un superpotere raro. In fondo, il problema non è Schlein. È che la politica italiana non è più in grado di parlare la lingua delle persone — e lei, che pure ci prova, finisce per sembrare una professoressa di filosofia recapitata per errore a un’assemblea condominiale. Ti ascolta con empatia, annuisce, e poi ti risponde in dialetto ONU.


Ci capite qualcosa quando parla Elly Schlein? Forse sì. Ma solo se avete il tempo di tradurre, la pazienza di restare e la fede di credere che dietro a quelle parole ci sia ancora una sinistra da qualche parte.

✍️ Testo e analisi di Max Ramponi

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