La sconfitta Europea sul fronte politico ucraino
- Max RAMPONI

- 6 dic
- Tempo di lettura: 2 min

L’Europa continua a ripetersi che è indispensabile, mentre il mondo — semplicemente — non la consulta più. La guerra in Ucraina ha tolto il velo all’illusione europea di contare ancora qualcosa nello scacchiere globale: gli Stati Uniti trattano per conto proprio, la Russia detta condizioni, la Cina osserva e accumula vantaggi, l’India si muove con la sicurezza di chi sa di essere ormai centrale. E l’Europa? Distribuisce editoriali, non strategia. Sul fronte politico ucraino la “sconfitta europea” non è una formula giornalistica: è un’autopsia.
Gli aiuti militari sono arrivati come una pioggia casuale, a caso, a macchia di leopardo; le posizioni diplomatiche cambiano al variare dell’umore del ministro di turno; le promesse di ricostruzione valgono finché non serve aprire il portafoglio. Si parla di “unità europea” mentre ogni capitale rema nella direzione opposta. Il risultato è che chi decide davvero il futuro dell’Ucraina non sta a Bruxelles, ma a Washington, Mosca, Pechino, Ankara.
L’Europa resta sul pianerottolo come un ospite non invitato che si ostina a bussare, convinto che prima o poi qualcuno aprirà per gentilezza. Intanto il mondo corre verso un ordine multipolare che non ha più bisogno dell’Europa per funzionare. Gli Stati Uniti riducono il loro impegno, l’Asia si consolida come epicentro del potere economico e demografico, il Medio Oriente riscrive alleanze con una calma glaciale, e perfino l’Africa comincia a scegliere interlocutori più utili alla propria crescita.
L’Europa, invece, si trincera dietro i suoi valori come fossero talismani: parole altissime usate per coprire la cronica incapacità di agire. È questo il vero declino europeo: non la debolezza militare, non la dipendenza energetica, non la lentezza burocratica — ma la totale incapacità di comprendere che la geopolitica non è un dibattito morale, bensì una partita di potere in cui contano risorse, visione e volontà. L’Europa ha perso tutte e tre. La guerra in Ucraina lo ha reso evidente come una diagnosi: siamo un continente che parla molto, decide poco e incide nulla. Una potenza che non è più una potenza. Un attore che è diventato spettatore. Un continente che rischia di sopravvivere solo come museo di sé stesso, elegante e stanco, illuminato da luci sempre più fioche mentre il treno della storia passa oltre senza nemmeno fischiare.







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