NATO, attacchi preventivi e risposta russa: analisi di una follia europea (e perché Mosca non ha alcun interesse a invadere l’Europa)
- Max RAMPONI

- 4 dic
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Negli ultimi giorni l’Europa si è immersa in una spirale retorica che ha dell’incredibile: la NATO, per voce del presidente del suo Comitato militare Giuseppe Cavo Dragone, ha dichiarato di voler “valutare posture più aggressive” nei confronti della Russia, arrivando a ipotizzare persino attacchi preventivi contro quelle che vengono definite “attività ibride” attribuite a Mosca. È un cambio di paradigma enorme, perché parlare apertamente di attacchi preventivi contro una potenza nucleare non è una sfumatura linguistica: è un salto di qualità che rischia di trasformare una tensione politica in un potenziale disastro strategico. La risposta russa non si è fatta attendere. Vladimir Putin ha dichiarato, davanti ai media russi e internazionali, che la Russia “non vuole la guerra con l’Europa”, ma che “se l’Europa decide di iniziarla”, Mosca è “pronta fin da subito”. È una frase dura, certo, ma che mantiene un dettaglio fondamentale: si inserisce come reazione all’ipotesi di un attacco preventivo NATO. Eppure, parte della stampa italiana, con un entusiasmo quasi ingenuo, ha ribaltato completamente la narrazione, trasformando quel messaggio in un inquietante “La Russia vuole fare la guerra all’Europa”, come se la sequenza logica degli eventi non contasse, come se il contesto non esistesse, come se una frase potesse essere estratta dal suo significato per alimentare un titolo di paura. Un meccanismo mediatico già visto molte volte: semplificare, distorcere, creare minaccia.
La realtà, quando la si osserva con freddezza, è molto diversa. Secondo le analisi pubblicate da Reuters, Euronews, ANSA e altre fonti internazionali, la NATO considera la possibilità di colpire in modo preventivo per contrastare ciò che definisce guerra ibrida russa, includendo cyber-attacchi, sabotaggi e droni. Non siamo davanti a un dettaglio tecnico, ma a un cambiamento sostanziale della postura occidentale: da difensiva a potenzialmente offensiva. Mosca, prevedibilmente, ha definito tutto questo “estremamente irresponsabile” e ha sottolineato che ogni mossa NATO di questo tipo potrebbe essere interpretata come una minaccia diretta. Nonostante questo quadro, la domanda centrale rimane sospesa: perché la Russia dovrebbe attaccare l’Europa? E perché questa narrazione – priva di basi reali – continua a essere alimentata da parte della comunicazione occidentale?
Analizzando lo scenario con un minimo di razionalità, l’ipotesi di un attacco russo massiccio all’Europa assume i contorni dell’assurdo. Per prima cosa, i costi economici sarebbero semplicemente insostenibili. Prima della guerra in Ucraina, l’Unione Europea era il principale partner commerciale della Russia, il primo mercato per gas e petrolio, la fonte principale di tecnologia avanzata, macchinari, componentistica e beni industriali. Nonostante le sanzioni, Mosca continua ad avere bisogno di tecnologia occidentale, che oggi entra attraverso triangolazioni in Asia e Medio Oriente. Un conflitto diretto con l’Europa significherebbe la distruzione definitiva di ogni canale residuo, compromettere le esportazioni energetiche, tagliare l’accesso a tecnologia essenziale e precipitare l’economia russa in una crisi ben più profonda di quella attuale. Sarebbe una scelta suicida.
Sul piano militare, diverse fonti NATO hanno dichiarato apertamente che la Russia, ad oggi, non dispone delle capacità necessarie per attaccare un blocco come l’Unione Europea su larga scala. Non ci sono uomini, non ci sono mezzi, non c’è logistica sufficiente per sostenere operazioni simultanee contro più paesi NATO, molti dei quali dotati di forze armate moderne e di infrastrutture militari avanzate. Un conto è combattere al confine, un altro è aprire un fronte su mezzo continente. Senza contare che ogni attacco diretto alla NATO aprirebbe la porta alla possibilità di una escalation nucleare, scenario che nessuno, né a Bruxelles né a Mosca, considera desiderabile. È questo equilibrio di deterrenza – fragile, imperfetto, ma funzionante – a impedire che la retorica si trasformi in azione concreta.
Eppure l’Europa si ostina a giocare con il fuoco. Parlare di attacchi preventivi contro una potenza nucleare non è una dimostrazione di forza, ma una dimostrazione di leggerezza politica. È un messaggio che destabilizza più di quanto rassicuri, perché introduce nella conversazione pubblica l’idea che una guerra totale tra NATO e Russia sia una possibilità reale e discussa. Nella maggior parte dei casi non lo è: il rischio vero non è un’invasione, ma un’escalation accidentale, un incidente, un errore di calcolo provocato da eccesso di retorica, cattiva comunicazione o desiderio politico di mostrare i muscoli. La Russia – al netto della propaganda e dell’autoritarismo – non ha alcun incentivo a invadere l’Europa. Ha bisogno dei mercati europei, ha bisogno di tecnologia occidentale, ha bisogno di mantenere la stabilità nei propri confini e ha bisogno di equilibrare la crescente dipendenza economica dalla Cina. Per Mosca, una guerra totale contro l’Europa non sarebbe una vittoria: sarebbe una rovina.
La vera follia, dunque, non sta nelle parole di Mosca, per quanto aggressive possano suonare estrapolate dal contesto, ma nella leggerezza con cui l’Europa – o parte di essa – maneggia concetti esplosivi come “attacco preventivo”. La guerra non è un destino inevitabile. È una scelta politica. E quando una potenza nucleare ti dice “non cerco la guerra, ma risponderò se mi attacchi”, l’ultima cosa sensata da fare è alimentare un titolo di giornale che rovescia la logica e trasforma una reazione in una minaccia di aggressione. Nessuno può permetterselo. Nemmeno chi pensa di farlo per difesa.








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