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L’illusione dell’Occidente: credere di guidare un mondo che non lo segue più

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min
CIRCO

Da due anni l’Occidente ripete che la Russia è isolata. Lo ripete con la sicurezza monotona di un altoparlante arrugginito in una stazione ferroviaria dell’Europa dell’Est. La frase rimbalza nelle conferenze stampa, negli editoriali, nei discorsi parlamentari. Ma basta spostare lo sguardo fuori dal perimetro euroamericano per accorgersi che la realtà ha costruito una mappa diversa. Una mappa in cui non è la Russia a essersi ritrovata sola, ma l’Europa a essersi chiusa volontariamente in un recinto che il resto del mondo ha smesso di considerare centrale.

I numeri parlano senza enfasi, come grafici tracciati con una matita spessa su un foglio ingiallito. Nel 2008 l’Unione Europea rappresentava circa il 17–18% del PIL mondiale; oggi si attesta intorno al 13–14% secondo il Fondo Monetario Internazionale. Nello stesso arco di tempo i BRICS sono passati da meno del 20% a oltre il 30% dell’economia globale (in termini PPP). Il centro di gravità non si sta spostando: si è già spostato. E non verso Bruxelles.

Quando l’Europa ha imposto sanzioni “senza precedenti”, si attendeva un collasso sistemico della capacità commerciale russa. I dati energetici mostrano invece un differente meccanismo: sostituzione, non isolamento. Le importazioni europee di gas russo sono diminuite del 70–80%, ma Mosca ha reindirizzato le vendite verso Asia e Medio Oriente sfruttando nuove rotte e nuovi interlocutori. L’India — che nel 2021 acquistava volumi trascurabili — è diventata uno dei principali acquirenti di petrolio russo, con un incremento superiore al 1000% nel giro di due anni. La Cina ha aumentato le importazioni energetiche di oltre il 20% e oggi, insieme a Nuova Delhi, assorbe più del 60% del greggio russo. Il concetto di “isolamento”, così come formulato dall’Occidente, non trova conferme nei flussi reali.


Gli effetti più visibili si sono manifestati in Europa. Tra il 2021 e il 2022 il prezzo del gas sul mercato TTF è passato da 25–30 €/MWh a un picco di circa 340 €/MWh. Anche se le quotazioni sono successivamente scese, lo shock ha prodotto contrazioni profonde nei settori energivori europei. La chimica tedesca registra una riduzione produttiva di circa il 20% rispetto ai livelli pre-crisi; metallurgia, ceramica, acciaio e fertilizzanti mostrano cali che oscillano tra il 10 e il 30%. Non sono valutazioni politiche, ma indicatori industriali diffusi da fonti europee.


Il quadro macroeconomico rafforza la stessa dinamica. La Russia, contrariamente alle previsioni, ha chiuso il 2023 con una crescita stimata intorno al 2,2% (FMI), mentre la Germania è entrata in una fase di stagnazione con tendenza negativa. Francia e Italia oscillano senza direzione: crescono poco, consumano meno, subiscono un’inflazione che non deriva da dinamiche interne ma da vulnerabilità energetiche.


Sul piano geopolitico l’immagine è ancora più nitida. Su 195 Paesi, meno di 50 hanno aderito completamente alle sanzioni occidentali. Non significa sostegno alla Russia: significa che oltre il 70% della popolazione mondiale non ha seguito la linea euroamericana. Cina, India, Brasile, Sudafrica, Arabia Saudita, Turchia, Indonesia, Messico e gran parte dell’Africa hanno continuato rapporti commerciali senza piegarsi alla pressione esterna. Il blocco BRICS — con Cina e India come poli — ha assorbito la Russia in un sistema economico alternativo sempre più credibile. Alcuni dati sintetizzano questo spostamento:


● commercio Russia–Cina: oltre 200 miliardi di dollari annui;

● investimenti cinesi in Russia: crescita stimata intorno al +50% dopo il 2022;

● espansione BRICS: nuovi membri da Medio Oriente e Africa, consolidamento strategico non occidentale.


Contemporaneamente, gli Stati Uniti hanno beneficiato indirettamente della crisi europea. L’Inflation Reduction Act ha attirato aziende europee offrendo energia più economica e incentivi fiscali più favorevoli. È una migrazione industriale che non avviene per slogan, ma per differenza di costi. L’Europa perde capacità produttiva mentre Washington la assorbe. Tutto ciò compone un quadro che non necessita di aggettivi: l’Europa non ha isolato la Russia; ha isolato se stessa da un ordine globale che non riconosce più la sua centralità. Il resto del mondo non si allinea né a Mosca né a Bruxelles. Semplicemente continua a muoversi.


E allora resta la domanda che nessuno, dalle nostre parti, sembra voler pronunciare senza tremare: chi ha davvero perso qualcosa in questa storia? La Russia, che ha spostato rotte commerciali e trovato nuovi mercati, o l’Europa, che è rimasta ferma in una posa nobile mentre il mondo reale le sfilava davanti senza ossequio né attenzione? La risposta non è scritta nei comunicati ufficiali, ma nei bilanci industriali, nei consumi energetici, nelle catene logistiche che scricchiolano come vecchi binari arrugginiti.


L’Europa ha tentato di ridisegnare l’ordine globale partendo da un presupposto sbagliato: che il mondo fosse obbligato a seguirla per inerzia storica. Come se gli anni ’90 non fossero finiti, come se il resto del pianeta fosse un pubblico docile in attesa del prossimo proclama morale. Ma il mondo non è più una platea: è un mercato, un’arena, un insieme di civiltà che non devono nessuna deferenza a Bruxelles. L’Europa, però, questo non lo ha capito. Continua a comportarsi come una vecchia aristocrazia decaduta convinta che i sudditi torneranno presto a bussare alla porta, anche se ora vivono e producono altrove.


C’è una fragilità quasi tenera in questa ostinazione. Mentre i dati gridano, l’Europa sussurra che la Russia è isolata. È la stessa logica di chi accende un lampione nel mezzo della tundra e dichiara di aver illuminato il mondo. Una pretesa che non offende nessuno, se non la realtà stessa. Ma la realtà, puntuale come una scadenza fiscale, presenta sempre il conto.


Il mondo extra-occidentale non ha isolato Mosca: semplicemente ha ignorato la richiesta europea. E questo è il vero smacco. Non l’ostilità, ma l’indifferenza. Non un nemico che ti sfida, ma un partner che ti scavalca senza voltarsi. La Russia non è stata messa in un angolo: ha cambiato stanza. È l’Europa che è rimasta seduta al centro del vecchio salotto, convinta che gli ospiti torneranno prima o poi. Ma gli ospiti hanno scoperto che la festa è altrove. C’è poi un dettaglio che pesa più di ogni analisi: l’Europa non ha più il peso industriale per sostenere la strategia che ha scelto. Il gas americano liquefatto è un cerotto costosissimo; l’inflazione energetica è una tassa occulta che i cittadini pagano senza ricevere nulla in cambio; la fuga di imprese verso gli Stati Uniti è una dichiarazione di sfiducia travestita da decisione manageriale. Ogni mese che passa l’Europa somiglia sempre più a un museo: ricco di storia, povero di corrente elettrica.


E allora sì, si può continuare a ripetere che la Russia è isolata. È un esercizio poetico, tutto sommato. Ma chi guarda i numeri, i flussi, i grafici e le mappe sa benissimo che il mondo ha scelto un’altra traiettoria. Un asse che passa per Pechino, Nuova Delhi, Riyad, Ankara e mille altre città che non compaiono nelle fantasie europee. Un asse dove l’Occidente è un attore, non il regista. È una verità semplice. Dolorosa, forse. Ma luminosa nella sua crudezza: non è la Russia ad aver perso il mondo. È l’Europa ad aver perso l’illusione di possederlo.


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