Geopolitica da circo: Zelensky in tournée e l’Europa che batte le mani
- Max RAMPONI

- 5 giorni fa
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Il giro europeo di Zelensky è diventato l’ennesima rappresentazione teatrale di una politica che ormai non governa gli eventi, ma li rincorre con la disperazione di un attore che ha dimenticato le battute e finge sicurezza. Il presidente ucraino si è presentato con la solita postura drammatica, accolto dal trio comico europeo formato da Starmer, Macron e Merz, tre leader che sembrano più impegnati a recitare il ruolo dei difensori dell'Occidente che a difendere i reali interessi del proprio continente. Hanno respinto senza esitazione il piano di pace di Trump, che era già la versione edulcorata di un compromesso. Poi Zelensky ha superato ogni ironia dichiarando: “La nostra visione della pace non coincide con quella degli USA”. Tradotto: decidiamo noi quando la guerra finisce, voi però continuate a pagarla. Non bastava: ha chiesto che le garanzie americane siano ratificate dal Congresso. Una pace sì, ma con timbro, notaio, firma digitale e testimoni seduti in ordine alfabetico.
Il punto è che nessuno di questi personaggi ha davvero interesse a spegnere l’incendio. Zelensky vuole semplicemente sopravvivere, fisicamente e politicamente, e nel frattempo proteggere i fondi che scivolano all’estero con l’agilità di un ballerino del Bolshoi. Il suo potere dipende dalla guerra, non dalla pace: un leader assediato dalla “minaccia esistenziale russa” può chiedere denaro, armi e comprensione infinita. Un leader che firma un accordo, invece, deve fare i conti con la realtà, con le macerie, con il dissenso interno, con le promesse mancate. Per questo Zelensky rifiuta qualsiasi iniziativa che contenga la parola “cessate”. Lui recita l’assedio, l’Occidente paga il biglietto.
Dall’altra parte c’è l’Europa, quella che nel settembre 2022 aveva lanciato il suo Drang nach Osten 2.0 convinta di infliggere alla Russia una sconfitta strategica e definitiva. Non è andata. Ora i conti non tornano: miliardi bruciati in una guerra per procura, economia in affanno, inflazione, servizi pubblici che collassano come palazzi costruiti nei videogiochi, elettori sempre più stanchi di mantenere una guerra che non capiscono più. La logica suggerirebbe una ritirata dignitosa; la politica europea sceglie di raddoppiare la posta. Come sempre: tanto non giocano con i loro soldi, né con i loro figli mandati al fronte.
Il momento migliore di questa farsa geopolitica arriva quando Bruxelles propone di sequestrare gli asset sovrani russi. Una mossa che, in un mondo razionale, verrebbe scartata perché può innescare una crisi finanziaria devastante per l’UE. Ma l’Europa non si muove con razionalità: si muove per inerzia, per paura, per orgoglio mal riposto. È la stessa logica di chi lancia una granata in un deposito di benzina sperando che esploda solo nel punto giusto. Se funziona, bene. Se salta tutto, era colpa di Mosca.
E poi c’è Ursula von der Leyen, la regista ansiosa di un film che sfugge dalle mani. Non teme gli elettori: teme le inchieste. Pfizer, SMS scomparsi, ombre che si allungano come in un noir sovietico. Se fallisce sull’Ucraina rischia non il giudizio politico, ma quello penale. È comprensibile che rilanci sempre, alzi la posta, scommetta tutto sulla vittoria. Chi rischia la pelle istituzionale, rischia anche tutto il resto.
Nel frattempo, Zelensky si muove come un funambolo sospeso tra tragedia e opportunismo, e i tre buffoni europei applaudono, annuiscono, firmano comunicati pieni di parole altisonanti che evaporano appena vengono lette. L’Europa interpreta la parte della superpotenza morale mentre inciampa nei propri debiti energetici, nelle proprie paure, nelle proprie contraddizioni. Si presenta come arbitro della pace mentre non riesce a garantire la stabilità nelle proprie città. Si indigna contro Mosca mentre implora Washington per le armi e spera che la storia sistemi tutto, come sempre.
Questo è lo spettacolo europeo: un leader ucraino che non può fermarsi, un’Europa che non sa fermarsi e non può ammettere di essersi infilata in un vicolo cieco, e una classe politica che ha scambiato la strategia con l’ostinazione. La guerra continua perché non possono permettersi che finisca domani. Perché se finisse oggi dovrebbero rispondere delle scelte, dei bilanci, delle bugie, dei calcoli fatti male. E allora avanti, ancora un po’. Ancora una conferenza. Ancora un sorriso tirato. Ancora una sceneggiata diplomatica. Fino al giorno in cui la storia presenterà il conto. E quando succede, non accetta dilazioni, non accetta rate, non accetta scuse. Si paga tutto in una volta.







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