La sinistra che ha perso il suo popolo: dal salotto alla periferia che non ascolta più
- Max RAMPONI

- 14 nov
- Tempo di lettura: 2 min

Negli ultimi vent’anni la sinistra italiana ha progressivamente smarrito il terreno sotto i piedi, e ciò che un tempo era la sua base identitaria – la classe operaia, i lavoratori, i ceti popolari – oggi è una landa politica abbandonata, conquistata senza resistenza da una destra che ha capito prima e meglio dove si stava spostando il vento sociale. Mentre gli operai cercano risposte su salari, affitti, precarietà, inflazione e sicurezza sul lavoro, la sinistra sembra chiusa in una stanza ovattata, impegnata in dibattiti autoreferenziali, concentrata su battaglie culturali che, pur legittime, non sono vissute come prioritarie da chi ogni mese deve far quadrare i conti. Non è questione di diritti civili contro temi economici: è questione di gerarchie.
Quando la vita reale diventa complicata, la politica che ignora la fatica quotidiana perde credibilità. E la sinistra, invece di radicarsi dove brucia – fabbriche, periferie, mercati, trasporti, ospedali – si è ritirata nei suoi salotti buoni, diventando il punto di riferimento di un ceto urbano colto, progressista, che spesso conosce l’Italia più attraverso saggi e talk show che nelle sue forme materiali. In questo processo si è costruito un ecosistema culturale che a volte sembra una loggia massonica intellettuale: linguaggio codificato, circoli chiusi, universi paralleli in cui chi non parla nel loro stesso modo viene visto come ignorante, reazionario, “non all’altezza”. È una forma di razzismo sociale al contrario: la convinzione di essere superiori perché si appartiene a un certo mondo.
Così la sinistra non solo ha perso il popolo, ma ha iniziato a guardarlo con sospetto, come se fosse lui ad aver sbagliato strada. Nel frattempo la destra, con la sua comunicazione semplice, diretta, spesso brutale, è entrata dove la sinistra non andava più: ha parlato a chi lavora nei turni, a chi è precarizzato, a chi vive in quartieri che si sentono dimenticati. Ha mostrato presenza, ascolto, anche se in forma ruvida, e questo basta a spostare voti, perché la politica è sempre questione di chi c’è e chi non c’è. La sinistra invece continua a oscillare tra l’attivismo moralista e il progressismo salottiero, giudicando l’Italia reale come se fosse un ospite indesiderato. La verità è che il paese che un tempo rappresentava non ha smesso di esistere: ha solo smesso di riconoscerla. E ora la domanda più inquietante non è perché la sinistra abbia perso consenso, ma se abbia ancora voglia – o capacità – di parlare al suo popolo senza trattarlo da imputato.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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