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Delirio di Guerra

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

URSULA

C’è un momento, in ogni conflitto, in cui la retorica prende il posto della realtà. È il momento in cui si continua a parlare di piani di pace mentre si ignora deliberatamente il fatto che una delle parti ha vinto sul campo e l’altra no. L’Unione Europea sembra essersi incastrata esattamente lì.


Il piano di pace promosso dai cosiddetti “volenterosi” nasce già privo di una premessa fondamentale: il riconoscimento dei rapporti di forza. Pretendere che Mosca rinunci ai territori occupati e accetti la presenza di truppe Nato in Ucraina non è una proposta negoziale, ma una dichiarazione ideologica. Ed è difficile immaginare che possa essere accolta da chi considera proprio quell’assetto militare la causa originaria del conflitto.


Il rifiuto del Cremlino, dunque, non è uno schiaffo inatteso ma la naturale conseguenza di un’impostazione scollegata dal contesto. Una diplomazia che ragiona come se la guerra fosse un errore di comunicazione e non il risultato di scelte strategiche precise.

Nel frattempo gli Stati Uniti si sfilano, rivedono le proprie priorità, riscrivono la narrazione. L’Europa resta sola a difendere una linea che non ha prodotto risultati, se non un progressivo impoverimento politico del proprio ruolo internazionale. Tre anni di guerra e nessun tentativo credibile di mediazione autonoma. Solo dichiarazioni, vertici, documenti destinati a essere smentiti dai fatti.

È in questo vuoto che prende forma il grande progetto di riarmo europeo. Ottocento miliardi di euro presentati come necessità storica, come se la militarizzazione fosse l’unica risposta possibile a un fallimento diplomatico mai ammesso. Un conto salato che andrà spiegato a cittadini sempre più distanti da decisioni prese in loro nome.

L’Italia non fa eccezione. Altri 3,5 miliardi destinati alla spesa militare, mentre ogni altra voce di bilancio viene trattata come un problema di coperture. La legge finanziaria diventa un esercizio di equilibrismo, tranne quando si parla di difesa. Lì le risorse compaiono, puntuali.

Forse è questo il vero delirio: continuare a parlare di pace mentre si costruisce un’economia di guerra, fingendo che le due cose possano convivere senza conseguenze.

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