Venezuela: un nuovo Vietnam per gli USA? Analisi di un possibile nuovo pantano geopolitico
- Max RAMPONI

- 4 giorni fa
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L’idea che il Venezuela possa diventare “un nuovo Vietnam” per gli Stati Uniti circola da anni, spesso usata in modo improprio. Ma dietro la metafora c’è una domanda legittima: la crisi venezuelana possiede i tratti tipici di quei conflitti in cui Washington rischia di sprofondare senza via d’uscita?Per rispondere, occorre analizzare non solo ciò che accade a Caracas, ma soprattutto ciò che accade nei corridoi del potere americano, nelle cancellerie latinoamericane e nelle strategie di Russia, Cina e Iran, che hanno trasformato il Venezuela in una piattaforma geopolitica molto più grande del suo territorio.
Il primo elemento chiave è la natura del regime venezuelano. Nicolás Maduro non è semplicemente un leader autoritario: governa attraverso un sistema ibrido in cui potere politico, apparato militare, economia informale e alleanze internazionali si alimentano a vicenda. È un modello di resilienza autoritaria che ricorda, in senso lato, alcuni regimi asiatici della Guerra Fredda. Non c’è un fronte di battaglia, ma c’è una resistenza strutturale che rende ogni pressione esterna potenzialmente inefficace. È questo il punto che fa scattare il paragone con il Vietnam: un avversario che non collassa né con l’embargo, né con la pressione diplomatica, né con operazioni clandestine.
Il secondo punto riguarda gli interessi degli Stati Uniti. Il Venezuela è una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta. La stabilità di Caracas incide sul mercato globale, sui flussi energetici dell’emisfero occidentale e sulle dinamiche migratorie che colpiscono direttamente il confine statunitense. Ogni volta che l’economia venezuelana crolla, ondate di migranti attraversano America Centrale e Messico. Per Washington non è solo un problema di politica estera: è un dossier interno. La tentazione di intervenire – militarmente, economicamente o attraverso operazioni sotto traccia – è quindi più forte di quanto il governo americano ammetta pubblicamente.
Ma ciò che rende la situazione potenzialmente "vietnamita" è il contesto internazionale. La Russia fornisce supporto militare e intelligence a Caracas. La Cina investe, presta denaro e consolida una presenza economica difficile da rimuovere. L’Iran utilizza il Venezuela come estensione strategica nel continente americano, soprattutto in campo energetico e tecnologico. Il risultato è un triangolo geopolitico che trasforma il Venezuela in un terreno di contesa tra grandi potenze. È lo stesso schema che, durante la Guerra Fredda, rese il Vietnam un pantano per gli USA: un conflitto locale che diventa globale, e quindi ingestibile.
Gli Stati Uniti hanno già provato la strada delle sanzioni economiche, ottenendo sì il crollo dell’economia venezuelana, ma non il crollo del regime. Hanno sostenuto l’opposizione, ma senza unificare le sue molte anime. Hanno flirtato con la possibilità di un intervento militare, ma sarebbe un disastro diplomatico in un’America Latina che respinge qualsiasi ingerenza nordamericana. Ammetterlo è difficile per Washington, ma il margine d’azione è molto più stretto di quanto sembri.
Un altro parallelismo con il Vietnam sta nell’asimmetria. Nel 1965 gli Stati Uniti erano convinti che la loro superiorità militare bastasse a “risolvere” il Vietnam. Oggi molti analisti americani credono che la superiorità economica e diplomatica sia sufficiente per piegare Maduro. Ma anche in questo caso la resistenza del regime è alimentata da un tessuto sociale che, pur impoverito, non si solleva, da un apparato militare che teme ritorsioni e da una rete di alleati esterni che non hanno alcun interesse a far cadere il governo venezuelano.
Il Venezuela potrebbe diventare un nuovo Vietnam? No, non in senso militare: nessuno immagina truppe americane nella selva di Mérida o combattimenti nelle strade di Caracas. Ma sì, in senso strategico: un dossier che si prolunga nel tempo, che diventa un simbolo della competizione globale con Russia e Cina, che consuma capitale politico senza produrre risultati, che logora alleati e che non prevede soluzioni rapide. Un pantano moderno, senza guerra ma con tutte le caratteristiche dell’impasse.
La vera domanda non è se il Venezuela sia il nuovo Vietnam. La domanda è se gli Stati Uniti abbiano imparato dal Vietnam che ci sono situazioni in cui la vittoria non coincide con il controllo, e in cui la potenza non coincide con la soluzione. Caracas è uno di quei casi: un nodo che non si scioglie con la forza, ma con una strategia che Washington non ha ancora trovato.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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