La scritta è stata cancellata. Il pensiero no.
- Max RAMPONI

- 6 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min

Castano Primo torna a far parlare di sé, suo malgrado. Ci ricasca, come una di quelle cittadine di provincia che cercano solo di sopravvivere in silenzio e invece finiscono sempre sotto i riflettori per le ragioni sbagliate. Castano non è Milano, non è la metropoli che brulica a pochi chilometri di distanza: è una terra piatta, tranquilla, monotona, attraversata da giornate tutte uguali che scorrono come l’acqua stagnante nei canali. Ogni tanto un’eco arriva dalla città grande, un riflesso delle sue follie, delle sue mode, delle sue paure. Ma questa volta l’eco non c’entra. Questa volta il rumore arriva da dentro, dalle crepe sottili della quotidianità, da quella normalità che tutti fingono solida e invece si incrina al primo colpo. La vicenda del murale imbrattato potrebbe sembrare un dettaglio, un graffio marginale sul muro di un paese qualunque. Qualcuno potrebbe perfino liquidarla come una ragazzata, una stupidaggine, un niente.
E invece no. È esattamente il contrario. Ci sono episodi minuscoli che raccontano più di un’inchiesta intera, e questa scritta è uno di quelli: piccola all’apparenza, gigantesca per ciò che rivela. È la provincia che si guarda allo specchio e non riconosce più la propria faccia. È un campanello che suona in mezzo al silenzio. Ed è impossibile ignorarlo.

Quando ho letto quella storia avrei voluto scrivere subito qualcosa, ma mi sono fermato. Non per prudenza, per mancanza. Mancanza di parole, di voglia, di spazio mentale. A volte la stupidità è talmente compatta, talmente solida, talmente organica da lasciarti lì, immobile, come davanti a una discarica che brucia e sai già che l’odore ti rimarrà addosso fino a sera. Poi l’idea è arrivata: non far finta di nulla. Prendere quella scritta, quella frase vomitata su un murale dedicato alle donne massacrate, e usarla per raccontare la malattia che ci portiamo dentro. Il fatto è semplice: a Castano Primo un genio di quelli che respirano aria e spreco di ossigeno ha deciso di scrivere che “se le donne non si comportassero come prostitute, queste cose non succederebbero”. Una frase così non la produce un cervello: la produce un buco nero dove dovrebbe esserci un minimo di neuroni.
Non siamo davanti a un atto vandalico. Quello sarebbe quasi romantico, rivoluzionario, adolescenziale. No, qui siamo davanti al bisogno animalesco di addossare colpe per evitare di guardarsi allo specchio. È la stessa mentalità che ha giustificato secoli di botte, molestie, femminicidi e silenzi. Il vecchio ritornello del “te la sei cercata”, riciclato con la stessa freschezza di un mozzicone raccolto dal pavimento. E scriverlo proprio lì, su un murale che ricorda donne ammazzate, è un gesto che non merita la parola “provocazione”. È vigliaccheria pura. È immondizia gettata con intenzione. È il bisogno disperato di lasciare una traccia del proprio nulla. Il Comune ha cancellato la frase, come si cancellano gli scarabocchi dei bambini. Ma il problema non è la bomboletta: è la testa.
La frase è stata rimossa, ma il pensiero resta incollato all’aria, infilato nelle conversazioni da bar, nelle battute da spogliatoio, nei sorrisini quando una donna cammina da sola o osa prendere spazio. La violenza non comincia dai pugni: comincia da qui. Da un’idea tossica che si ripete di generazione in generazione con la perseveranza delle grandi infezioni. Chi ha scritto quella frase probabilmente si è anche sentito furbo, originale, “uno che dice le verità scomode”. La verità scomoda, invece, è che viviamo in un Paese in cui cancellare la vernice è molto più facile che cancellare l’ignoranza. Un Paese che si indigna cinque minuti e poi torna tranquillo a giustificare tutto sotto traccia. Un Paese che smacchia i muri ma non smacchia le teste. Intanto il murale resta, più dignitoso di chi lo ha insultato. Le donne raffigurate guardano ancora chi passa, e forse in quel silenzio c’è più giudizio di quanto un tribunale potrebbe mai infliggere. L’Italia continua a dirsi sorpresa, scioccata, indignata. Ma la verità è che non c’è sorpresa. Solo conferma. Perché la stupidità, questa stupidità, non si estingue: si riproduce. Fa figli, fa scuola, fa danni. E soprattutto, non va mai in letargo.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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