Privacy Policy Cookie Policy
top of page

Castano Primo e il Polo Logistico: analisi critica sulla gestione dell’amministrazione comunale

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 15 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

CASTANO PRIMO

C’era una canzone che avvertiva: “Là dove c’era l’erba ora c’è una città”. Sembrava un ammonimento leggero, quasi una filastrocca urbana, ma più passano gli anni più assomiglia a una diagnosi. A Castano Primo non siamo ancora al cemento che divora tutto, ma la sensazione è che qualcuno stia sparecchiando la tavola al verde per far posto a qualcos’altro. È una sensazione che non nasce da annunci roboanti, né da progetti sbandierati: nasce dal modo in cui il silenzio, a volte, pesa più di qualsiasi comunicato ufficiale.


I campi sono ancora lì, immobili, placidi, pieni di quella dignità silenziosa che solo la terra sa conservare. Non c’è stato alcun movimento di ruspe, nessun camion che entra, nessun cartello “lavori in corso”. Eppure, attorno a quella distesa apparentemente intoccata, si muove un brusio crescente: riunioni in cui si chiede chiarezza, comitati che raccolgono firme, articoli che provano a decifrare l’indecifrabile. Dall’altra parte, l’amministrazione parla a bassa voce, come chi tocca un argomento scottante con la punta delle dita. Le frasi sono prudenti, calibrate, quasi timorose di essere interpretate. È come osservare due mondi che si sfiorano senza incontrarsi: la terra, da un lato; il futuro ipotizzato (e mai confermato) dall’altro.

L’erba c’è ancora. La città, forse, no. Ma qualcosa si muove. E non è un dettaglio.

È in questo scenario sospeso che Castano Primo diventa un teatro particolare. Non il più grande, non il più prestigioso, ma uno di quelli dove si recita meglio l’arte tutta italiana del “non decidere, così nessuno potrà accusarci di aver deciso”. Qui le decisioni non vengono annunciate: evaporano, riappaiono, vengono sfumate, corrette, reinterpretate. Il risultato è un dibattito pubblico che somiglia a una nebbia: sai che c’è qualcosa davanti a te, ma non riesci a vedere quanto è vicino, né quanto è grande.


Il terreno individuato – circa 12 ettari poco lontano dall’Istituto Torno – non è un posto qualunque. È una delle ultime porzioni agricole compatte dentro un territorio ormai segnato da attività produttive, capannoni, spazi logistici, impianti commerciali e aree residenziali cresciute a macchia di leopardo negli ultimi trent’anni. È un nodo simbolico, oltre che fisico: un punto in cui si intersecano ambiente, urbanistica, mobilità, scuole, interessi economici e qualità della vita. Non sorprende che l’ipotesi – anche solo teorica – di un polo logistico susciti reazioni immediate.

Ma è sull’amministrazione che si concentra lo sguardo. Perché il vicesindaco Rivolta ripete che “amministrativamente non c’è nulla”. Il sindaco Colombo aggiunge che “non va demonizzato nulla”. Sono frasi legittime, certo, ma hanno un effetto collaterale: comunicano senza informare. È come dire che il cielo è nuvoloso senza specificare se pioverà: tecnicamente è corretto, praticamente non aiuta nessuno a capire.

Il sospetto dei cittadini non nasce da complotti o fantasie, ma da un fatto semplice: quando un’amministrazione dice che “non esiste un progetto”, ma nello stesso tempo l’area è già inserita nel PGT come trasformabile, qualcuno si domanda se il percorso non sia già iniziato, anche senza documenti depositati. Il PGT non è una poesia: è un indirizzo politico. E quando un terreno cambia destinazione, anche solo in potenza, il resto è questione di tempo, investitori, convenzioni, opportunità.


È il classico limbo amministrativo: abbastanza vago da non compromettere chi governa, abbastanza concreto da far temere a chi vive lì che il cambiamento arriverà comunque. E questa ambiguità, col passare dei mesi, si trasforma in tensione civica.


A muoversi davvero, infatti, non è il Comune: è la città. Il comitato No Polo Logistico non si limita a dire “no”: studia, analizza, interroga, propone. Porta contributi formali al PGT, immagina scenari alternativi, analizza mappe e vincoli, parla con urbanisti ed esperti ambientali. Ha perfino elaborato idee che esulano dal classico dibattito “polo sì / polo no”: parchi multifunzionali, aree di ricerca, spazi pubblici capaci di restituire valore sociale invece di consumarlo. È raro vedere cittadinanza e associazioni produrre un lavoro così strutturato, ed è ancora più raro che un’amministrazione non colga l’occasione per aprire un tavolo ufficiale di confronto.


Fin qui, invece, tutto scivola in una dimensione intermedia. Non c’è un rifiuto netto del progetto, ma non c’è nemmeno una visione alternativa che parta dal Comune. È un dialogo ostacolato non dalle idee, ma dal ritmo delle istituzioni, più lento, più opaco, più incline alla prudenza che alla partecipazione.

I rischi – quelli reali, concreti – sono molti, e nessuno dei due schieramenti li nega. Un polo logistico significa traffico di mezzi pesanti, quindi nodi sulla viabilità già congestionata. Significa emissioni, rumore, orari notturni. Significa un impatto sulla scuola vicina: centinaia di studenti che ogni giorno attraversano strade frequentate da TIR non sono un dettaglio. Significa lavoro, sì, ma spesso lavoro precario, frammentato, difficile da programmare. E significa soprattutto una trasformazione irreversibile del paesaggio urbano. Un campo può tornare campo. Un capannone no.

Non è questione di essere pro o contro la logistica. È questione di chiedersi se questo territorio abbia la capacità, l’infrastruttura, la visione per assorbire un insediamento del genere senza snaturarsi. E se chi governa abbia intenzione di gestire questo processo o lasciarlo fluire fino al punto in cui diventa inevitabile. La strategia attendista dell’amministrazione, a questo punto, è il fulcro della discussione. Ha un vantaggio chiaro: evita decisioni affrettate e lascia aperta la porta a un investimento potenzialmente rilevante. Ma ha anche un limite evidente: se non si governa il dibattito, il dibattito finisce per governare l’amministrazione. Il rischio non è solo la sfiducia: è la perdita di controllo sul processo decisionale.

Perché in un contesto come questo, non basta dire “quando arriverà un progetto, coinvolgeremo i cittadini”. Il coinvolgimento non avviene a cose fatte: avviene quando le cose non sono ancora nemmeno sul tavolo. È lì che si costruiscono le scelte pubbliche. È lì che un’amministrazione mostra la propria idea di futuro. La domanda, allora, diventa inevitabile: chi decide davvero sul destino di quel terreno? È un’elaborazione comunale? È un interesse privato che bussa? È la Regione che indirizza? Oppure è un intreccio di tutti questi livelli, in cui nessuno vuole assumersi il peso dell’annuncio?


Castano Primo non può vivere all’infinito in un eterno “forse”. Un polo logistico – anche solo come possibilità – è una scelta che ridisegna un territorio per una generazione intera. Se arriverà, cambierà in modo sostanziale paesaggi, abitudini, traffico, economia locale. Se non arriverà, qualcuno dovrà spiegare perché quel campo è rimasto sospeso così a lungo in un limbo urbanistico. Un’amministrazione non deve temere il confronto: deve guidarlo. Non deve aggirare le domande, ma rispondere. Non deve proteggersi dietro un “non c’è nulla”, ma mostrare tutto ciò che c’è, tutto ciò che potrebbe esserci, tutto ciò che si teme che ci sia.

Castano merita chiarezza. E merita una visione. Non un elenco di rassicurazioni, non un rimbalzo di frasi prudenti, non un gioco di attendismo. Merita una scelta, o almeno un dibattito reale. Perché quando il futuro non viene governato, arriva comunque. E spesso arriva nella forma che si è meno pronti ad affrontare.

✍️ Testo e analisi di Max Ramponi

✅ VERIFICATO FAKE FREE – Contenuti indipendenti e senza sponsor

© 2025 maxramponi.it | Tutti i diritti riservati | Riproduzione vietata.


Commenti

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
bottom of page