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Sinner e la conversione miracolosa dell’italiano medio: da CT frustrato a tennista da bar

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

SINNER

📸 Nota immagine:

L’immagine non è di mia proprietà. È stata reperita tramite ricerca Google ed è indicata come non soggetta a licenza. Tutti i diritti restano dei legittimi titolari. | Foto originale disponibile QUI.

In questo paese che vive di illusioni come di pane raffermo, l’ultima metamorfosi nazionale è stata rapidissima: da commissari tecnici onniscienti a esperti di tennis nel giro di una notte, come se da sempre vivessimo tra i campi in terra rossa e non tra i tavolini traballanti dei bar di provincia. L’italiano medio si è scoperto improvvisamente tecnico, analista, stratega del servizio dopo una vita passata a confondere il tie-break con una marca di deodorante; oggi ti disseziona la biomeccanica del rovescio di Sinner con la stessa sicurezza con cui ieri ti spiegava perché la Nazionale avrebbe dovuto giocare col 4-3-3 “come faceva lui ai tempi dell’oratorio”. È lo stesso individuo che, dopo essersi visto negare due Mondiali su due, ha finalmente trovato un pettine per i suoi capelli sempre spettinati: un ragazzo pallido, educato, glaciale come un mattino in Siberia, capace di colpire la palla con la precisione di un ingegnere sovietico che monta valvole su un motore arrugginito.

Il calcio non gli dava più soddisfazioni, la Ferrari fa quel che può, e il ciclismo non basta a riempire i vuoti dell’anima; così l’italiano ha adottato Sinner come si adotta un santo miracoloso, sperando che il suo dritto possa redimere un’intera nazione stanca di perdere. Ma l’italiano medio non ama davvero lo sport: ama lo specchio.

Ha bisogno di un campione che vinca al posto suo, che alzi trofei per fargli dimenticare mutui, stipendi ridicoli, ginocchia doloranti e una nazionale che prende sberle perfino da squadre che Wikipedia deve ancora riconoscere come “paesi esistenti”. Perché lo sport in Italia funziona così: non serve capirlo, basta usarlo come stampella emotiva. E Sinner è diventato la stampella perfetta: silenzioso, umile, forte, tutto ciò che l’italiano medio non è, e forse non sarà mai. E allora eccolo lì, il nostro eroe da salotto, che parla di accelerazioni, di superfici, di rotazioni, mentre il massimo sforzo fisico della sua settimana è recuperare il telecomando caduto sotto il divano. Si atteggia a intenditore, critica i colpi, giudica il linguaggio del corpo, pretende che un ragazzo del 2001 porti sulle spalle il riscatto di un paese che da trent’anni si arrampica sui decimi di crescita come un ubriaco sui gradini ghiacciati di una stazione di Leningrado.


La verità è che questo improvviso amore per il tennis è solo l’ennesima fuga dalla realtà. Non è Sinner a essere straordinario, è l’Italia a essere disperata. Se domani vincesse un campione di braccio di ferro, in un attimo rispunterebbero esperti di leve e bicipiti; se esplodesse un fenomeno negli scacchi, l’italiano medio ti racconterebbe di quando alle elementari aveva battuto “uno forte”; se spuntasse un campione mondiale di curling, li vedresti discutere di spazzolature con la stessa foga con cui oggi parlano di rovesci incrociati. Perché non è competenza, è sopravvivenza. L’Italia non cerca sport: cerca anestesie. E Sinner è l’anestetico del momento, il giovane che deve riparare trent’anni di frustrazioni, illusioni e autoinganni.


Ma il giorno in cui perderà una partita importante, il paese tornerà a fare ciò che sa fare meglio: tradire il proprio idolo con la stessa rapidità con cui lo aveva eletto a salvatore. È tutto scritto nel DNA di questa nazione: amiamo i campioni finché servono, poi li sacrifica­mo all’altare dell’ingratitudine. L’italiano medio non si appassiona allo sport: si appassiona a se stesso che parla dello sport. E il fatto che nessuno glielo dica apertamente è il motivo per cui continuiamo a oscillare tra un’illusione e l’altra, proprio come un vecchio lampione sovietico che sfarfalla nella notte, convinto di illuminare il mondo mentre riesce a malapena a illuminare il marciapiede davanti a sé.

✍️ Testo e analisi di Max Ramponi

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