Quando il feed mente: sanzioni, prezzi e il circo delle fake semplificate
- Max RAMPONI

- 16 nov
- Tempo di lettura: 3 min

Stavo scrollando Facebook, il suo solito miscuglio di ricette improbabili, facce annoiate e sfoghi politici da mezzanotte, quando il feed ha deciso di punirmi: una pagina che a mio avviso diffonde solo fake news, riconoscibile dal tono, dalla rapidità con cui semplifica il mondo, dalla sicurezza con cui trasforma un problema complesso in uno slogan. Leggo due righe e già capisco di essere capitato nella fiera dei mezzi esperti, dove la geopolitica si misura in pixel e la verità vale meno di un like. La pagina sosteneva che i prezzi in Italia sarebbero schizzati del 25% “solo” per colpa delle sanzioni alla Russia, come se la realtà fosse un pulsante acceso e spento da un singolo atto politico. A quel punto, per non impazzire, ho fatto ciò che molti non fanno più: una ricerca seria.
La verità è che l’aumento del 25% riguarda i prezzi alimentari, non tutto il costo della vita, e nasce da una miscela più sporca e più vasta delle favole populiste. La pandemia aveva già sbriciolato le catene logistiche globali, i container costavano come lingotti d’oro, il clima colpiva raccolti e filiere, l’energia stava aumentando molto prima della guerra e certi operatori economici hanno fatto quello che fanno sempre nelle crisi: hanno speculato. Poi è arrivata l’invasione dell’Ucraina, e con essa le sanzioni, e il gioco si è complicato. Non perché le sanzioni siano “la causa”, ma perché hanno aggravato un quadro già fratturato, soprattutto sul fronte energetico. La Russia forniva una fetta enorme del gas europeo; chiudere quella porta ha significato pagarne molte altre. E quando l’energia sale, sale tutto, dal pane alla frutta, passando per il fertilizzante che rende possibile persino immaginare quel pane.
Il problema non è discutere le sanzioni: si può farlo, è sano, è utile. Il problema è l’approssimazione di chi riduce un fenomeno globale a un colpevole unico, come se il mondo fosse un romanzo mal scritto. I populisti, i blogger improvvisati, i politici in cerca di pubblico vivono di scorciatoie. È più facile dire “la colpa è delle sanzioni” che spiegare come pandemia, energia, speculazioni e fragilità strutturali abbiano costruito la tempesta perfetta. È più comodo gridare che ragionare. È più redditizio indignare che informare.
La narrazione complottista funziona perché rassicura: offre un nemico, un bersaglio semplice, una spiegazione senza fatica. Ma la realtà non è generosa con chi la banalizza. Basta guardare i dati ISTAT, le analisi Eurostat, le curve sui costi dell’energia, le rilevazioni precedenti al 2022. Non c’è un dito che ha premuto un interruttore. C’è un intero sistema che ha scricchiolato, e la guerra l’ha fatto tremare ancora di più. Le sanzioni fanno parte del quadro, non sono il quadro.
Alla fine la differenza tra informazione e propaganda è sempre la stessa: la prima richiede tempo, la seconda richiede fede. E chi oggi urla “colpa delle sanzioni” chiede esattamente questo, fede politica mascherata da analisi economica. Mentre i prezzi aumentano per ragioni molteplici, la propaganda digitale ne sceglie una sola, perché il mondo, per funzionare, deve essere semplice. Anche se non lo è mai stato. Chi vuole davvero capirlo deve ancora concedersi il lusso di fermarsi, respirare e leggere ciò che c’è dietro gli slogan. Il resto è rumore di fondo, e quel rumore oggi è più assordante del feed.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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