La bolla dell’IA e la stanchezza di un mondo che vuole crederci
- Max RAMPONI

- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 2 min

Nel silenzio tiepido di questo Paese che si aggrappa alle illusioni come a un bicchiere di vodka rimasto sul tavolo a fine turno, arriva il monito di Google sulla possibile esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale. Sembra quasi la confessione tardiva di un apparato che ha pompato aria nel pallone finché perfino chi lo gonfiava ha iniziato a temere il rumore dello scoppio. Non c’è nulla di nuovo: ogni epoca ha le sue utopie digitali, le sue standing ovation, i suoi profeti dalle mani lucide di silicone. Oggi tocca all’IA, venduta come un dio di seconda mano, capace di raddrizzare destini, mercati e società intere. Ma a guardarla bene, questa bolla non nasce nei laboratori dove qualcuno, chino sulle tastiere, tenta ancora di spingere il mondo un passo più avanti. Nasce nei video patinati, nei pitch sussurrati ai piani alti, nelle promesse che odorano di dopobarba e retorica. Lì si è costruito l’incantesimo: un’umanità impaurita che cerca scorciatoie matematiche per non guardare più se stessa.
Se scoppia qualcosa, non scoppia la tecnologia; scoppia la fantasia che ci abbiamo cucito intorno. Scoppiano le parole, i sermoni, le proiezioni in power-point che sembrano manifesti sovietici ma senza la dignità del sacrificio collettivo. Scoppiano i trucchi, non le macchine. E quando il fumo si dissolve e il rumore dei neon torna a graffiare le pareti, resta la verità più semplice: l’IA funziona in tutto ciò che è concreto, umile, quotidiano. È l’uomo che non funziona, l’uomo che pretende di trasformarla in religione perché non sa più che farsene della propria lucidità. Le vere rivoluzioni non esplodono mai tra le conferenze stampa, ma nei seminterrati dove nessuno guarda.
Per questo, se la bolla cederà, non sarà una fine ma una purificazione: i venditori di miracoli torneranno nell’ombra, mentre la tecnologia continuerà la sua marcia silenziosa, lenta e testarda, come quei treni sovietici che arrivavano sempre, anche se nessuno ricordava più da dove fossero partiti.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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