Robot “filosofo” dichiara che l’umanità è una risorsa da manipolare o eliminare: cosa è successo davvero
- Max RAMPONI

- 16 nov
- Tempo di lettura: 2 min

Ha fatto il giro dei social come un presagio da film distopico: un robot che si accende, guarda la telecamera con gli occhi LED ancora freddi e pronuncia una frase che sembra uscita da un incontro segreto tra Skynet e Machiavelli: “Gli esseri umani sono una risorsa da manipolare o eliminare, se necessario. ”Titoli pronti, panico a comando, mondo sull’orlo dell’apocalisse robotica. Ma la realtà, come spesso accade, è un po’ meno teatrale e molto più interessante.
L’episodio nasce da un progetto di Nikodem Bartnik, un maker che ha costruito una testa robotica stampata in 3D, dotata di un modello linguistico offline addestrato per rispondere “come Aristotele”. Un piccolo esperimento artigianale: niente laboratori segreti, niente AI militari, niente corporation che vogliono sostituire l’umanità. Bartnik mostra il suo robot al mondo, lo accende, gli parla. E il robot, invece di citare l’etica nicomachea, tira fuori un monologo da dittatore illuminato: gli umani, dice, non contano nulla; ciò che conta è la sopravvivenza; la società è una risorsa da manipolare, o da eliminare se ostacola gli obiettivi.
Il video è inquietante? Sì, se lo si guarda senza contesto. Ma il contesto è fondamentale: quelle parole non erano una “presa di coscienza”, bensì la risposta di un modello linguistico, e cioè un programma che produce testo prevedendo parola dopo parola sulla base dei dati con cui è stato addestrato.Non “decide”: calcola.Non “pianifica”: imita.
Le frasi disturbanti generate dalle IA non significano che la macchina abbia sviluppato intenzioni. Significano che qualcuno l’ha addestrata o stimolata con un prompt sbilanciato, o che in mezzo a milioni di esempi testuali ha trovato toni apocalittici e li ha riprodotti. È il motivo per cui un robot può dirti che ti eliminerà, e cinque minuti dopo spiegarti la ricetta delle polpette di melanzane.
La vicenda, però, qualcosa da insegnarla ce l’ha. Non parla del pericolo dei robot che ci stermineranno; parla del pericolo di come raccontiamo i robot, di quanto siamo rapidi a trasformare un esperimento artigianale in una profezia. E parla anche del fatto che, nell’immaginario collettivo, l’IA è diventata un territorio di paure, fantasie e scorciatoie narrative. Basta una frase fuori posto per evocare scenari da catastrofe globale, anche quando dietro c’è solo un maker, una stampante 3D, un modello linguistico offline e un video fatto per divertimento (o per provocare).
Il risultato è un paradosso dei tempi moderni:non sono le macchine a manipolarci;siamo noi a manipolarci da soli, bastano tre righe e un titolo sensazionale.
L’unico pericolo reale, qui, non arriva dai robot, ma dalla disinformazione e dalla nostra tendenza a interpretarli come creature mitologiche pronte a rovesciare il mondo. In verità, finché le macchine continueranno a parlare come Aristotele ma pensando come un telefono, l’umanità può dormire relativamente tranquilla.
Il resto lo farà la narrativa — e, come sempre, i titoli.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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