BATACLAN: L’eredità che non abbiamo il coraggio di guardare
- Max RAMPONI

- 9 nov
- Tempo di lettura: 2 min

Era il 13 novembre 2015 e l’Europa scopriva di non essere immortale. Parigi, il Bataclan, lo Stade de France, le terrazze, la musica interrotta dai colpi d’arma automatica. Una notte che avrebbe dovuto cambiare tutto, e invece ha cambiato solo il modo in cui ci fingiamo vivi. Dieci anni dopo, la parola “Bataclan” è diventata una didascalia da anniversario, buona per un post commemorativo, un minuto di silenzio e un hashtag di circostanza. Nessuno vuole più capire, tutti vogliono solo ricordare con la distanza di chi si sente innocente.
Ma l’eredità del Bataclan non è il dolore, è la degenerazione del pensiero occidentale dopo la paura. È l’Europa che si scopre fragile e, invece di interrogarsi, si chiude a riccio. Abbiamo scambiato la sicurezza per libertà e la vigilanza per civiltà. Ci siamo costruiti un alibi perfetto: difendere la “nostra identità” da un nemico che non capiamo e che ci serve per restare uniti nel panico. Da quella notte è nata la paranoia politica, il consenso costruito sull’ansia, il populismo travestito da protezione. Il terrorismo islamico non ha vinto militarmente, ha vinto culturalmente: ci ha insegnato a pensare in bianco e nero, a sospettare di tutto, a credere che l’odio sia una forma di difesa legittima.
Dopo il Bataclan non abbiamo più avuto paura degli attentati, abbiamo avuto paura delle persone. L’Islam è diventato sinonimo di minaccia, il diverso di rischio, il migrante di bomba in attesa. E intanto la politica ha imparato che basta evocare la paura per non dover più spiegare nulla. Il Bataclan è stato il detonatore perfetto di una regressione collettiva: ci siamo scoperti pronti a cedere la privacy, la tolleranza, la curiosità, in cambio di un metal detector e di un discorso rassicurante sul “noi contro loro”. Oggi lo chiamiamo “ricordo”, ma è solo rimozione con la musica di sottofondo. Ci siamo abituati a convivere con l’allarme, con l’odio, con la diffidenza.
Non è più emergenza, è abitudine. E quando la paura diventa routine, l’umanità è già finita. Il Bataclan non è una ferita, è una diagnosi. È il certificato medico di un continente che ha smesso di credere nella convivenza e ha iniziato a speculare sulla paura. Ogni anno celebriamo la memoria, ma ciò che davvero ricordiamo è quanto siamo disposti a rinunciare pur di sentirci salvi. Il terrorismo non ha distrutto l’Occidente: l’ha solo convinto a spegnersi da solo, lentamente, tra due post di cordoglio e un selfie davanti a una cattedrale illuminata.
✍️ Testo e analisi di Max Ramponi
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🖼️ Bicicletta come parte del memoriale degli attentati del Bataclan, Parigi
📷 Crediti fotografici: John Englart / Fawkner
📅 Anno di scatto: 2015
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